Museo d’arte sacra di Gibilmanna
Tra le catacombe e l’omonimo santuario di probabile origine bizantina (VI secolo !), in un paesaggio fiabesco (i boschi delle Madonie), ecco il museo di Gibilmanna (dall’arabo “Gibel el Mann” ,Monte della Manna, o “Gibel el Iman”, Monte della fede).
Il Museo è articolato in, dieci sale, ognuna delle quali è intitolata ad un frate.
La sala 1 è dedicata a san Francesco d’Assisi e, tra gli altri, conserva due statuette in cera della fine del XVIII secolo raffiguranti Maria Bambina e Gesù Bambino.
La sala 2 è dedicata a Frate Domenico da Isnello.
In questa sala è conservato il pezzo più importante di tutta la collezione: uno stupendo organo a canne palustri di fattura artigianale del XVII secolo, secondo gli esperti unico esemplare in Europa.
La sala 3 è dedicata a Frate Felice da Nicosia ed espone gli strumenti del lavoro al quale si dedicavano i cappuccini: carretti, aratri, telai, attrezzi per la produzione di ostie.
La sala 4 è dedicata a Frate Fortunato da Valledolmo. In questa sala è un’antica fucina utilizzata dai frati nell’antica arte della lavorazione dei metalli.
La sala 5 è dedicata a Frate Antonino da Bronte e custodisce una collezione di statuette lignee del XVIII secolo.
La sala 6 è dedicata a Frate Sebastiano Majo da Gratteri, fondatore del convento. Qua è un polittico a sei comparti del XVII secolo il cui autore Frate Feliciano era detto il “Raffaello dei cappuccini”.
La sala 7 è quella di Gregorio Magno. E la sala dello sfarzo papale contenente preziosi arredi sacri che i frati potevano utilizzare solo per le grandi solennità e dietro dispensa.
La sala 8 è dedicata ai frati Urbano e Sigismondo e custodisce, tra gli altri, preziosi calici in oro e argento, frutto di donazioni fatte al convento.
La sala 9 è dedicata a Frate Ivone da Messina. Tra le varie tele, quella che più attrae, soprattutto per la sua imponenza, raffigura l’Ultima Cena. La tela è piena di simboli religiosi come la mela del peccato o il gatto che rappresenta il diavolo.
Nella sala 10 è stata ricreata l’atmosfera di una cella cappuccina: su una sedia è appoggiato il tipico saio, sotto i sandali; su uno scrittolo è sistemato un manoscritto.
La biblioteca conventuale, pregiatissima, conserva preziosi incunaboli, rare cinquecentine, testi del ‘600 e ‘700, oltre a numerose opere dell’800.
Tra tutti segnaliamo la prima edizione, del 1558, del De Rebus Siculis di Tommaso Fazello, opera guida per lo studio della Sicilia in senso generale.
Le secentesche catacombe cappuccine, dedicate all’eremita Giuliano de Placia, occupano il sotterraneo della cappella della Madonna e parte della Chiesa.
Constano di due piccole sale alle pareti delle quali furono ricavate 34 nicchie destinate ad esporre i corpi di sacerdoti, frati laici e benefattori che venivano “essiccati” secondo un’antica tecnica in usanza presso i Cappuccini.